venerdì 8 aprile 2011

Gli additivi alimentari: questi sconosciuti

Incredibile ma vero! L’alluminio – un metallo che secondo l’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) è talmente tossico che basta ingerirne qualche millesimo di grammo alla settimana per danneggiare la salute – è utilizzato come additivo alimentare per colorare e laccare i prodotti zuccherini che servono a decorare torte e pasticcini. E non è finita. L’alluminio si ritrova anche in altri additivi (i solfati di alluminio) impiegati in preparati industriali a base di uova e perfino in un lievitante chimico (il fosfato acido di sodio e alluminio) che può essere utilizzato per la produzione del pan di Spagna. Una follia della legge che regolamenta l’impiego degli additivi alimentari nei prodotti convenzionali. 
Fortunatamente le regole del biologico sono ispirate ad una maggiore saggezza e tanti dei numerosi additivi permessi nel convenzionale, tra cui quelli contenenti alluminio, sono categoricamente vietati. 

Sono più di 360 gli additivi alimentari permessi attualmente nell’Unione Europea. Sono contraddistinti da un codice composto dalla lettera E (l’iniziale di Europa) e da un numero a 3 o, più raramente, a 4 cifre. Ad esempio, la tartrazina, un colorante di sintesi di largo impiego, e il lisozima, un conservante naturale che si può aggiungere a molti formaggi stagionati, hanno come codice rispettivamente E 102 e E 1105.
Gli aromi non hanno codice perché non sono considerati additivi.
Le finalità per le quali viene consentito l’impiego degli additivi sono numerose.
Di norma gli alimenti freschi non contengono additivi, ma c’è qualche eccezione.
Se vi viene voglia di gustare dell’uva in inverno, sappiate che dovete lavarla con cura perché, per conservarla in magazzino dall’epoca della sua raccolta, è permesso trattarla con i conservanti ad attività antifungina che fanno capo all’anidride solforosa (con sigle da E 220 a E 228)
I crostacei, non soltanto surgelati, ma anche freschi possono essere trattati legalmente con il 4-esilresorcinolo (E 586). Poiché quest’additivo è dotato di una certa tossicità, la stessa Autorità che ha dato parere favorevole al suo impiego paventa il rischio che le persone che consumano crostacei frequentemente e in abbondanza possano ingerirne una quantità che superi la soglia di sicurezza.

Certi additivi possono essere utilizzati in tutti i prodotti alimentari o in molti di essi.
Per altri, invece – di norma quelli più preoccupanti per la nostra salute –, l’utilizzo è limitato a pochi specifici alimenti. Ad esempio l’eritrosina (E 127) – un colorante di sintesi contenente iodio, che sulle cavie induce, oltre una determinata dose, tireotossicosi e tumori della tiroide – è impiegato soltanto per colorare le ciliegie da cocktail e quelle candite. 
Bastano, infatti, 30 grammi di ciliegie così colorate per assumere una quantità di eritrosina che va oltre la soglia di sicurezza.

Il consumatore può individuare gli additivi sospetti?

La risposta è sì, ma a condizione che conosca la DGA dell’additivo. 
DGA è l’acronimo di Dose Giornaliera Ammissibile. È un valore che le autorità fissano per ogni additivo sulla base delle prove tossicologiche eseguite sulle cavie e si esprime in mg per chilo di peso corporeo di una persona (mg/kg p. c.). La definizione ufficiale della DGA è la seguente: la quantità massima che, in base al peso, può essere assunta nella dieta quotidianamente, anche per tutta la vita, senza rischi per la salute allo stato attuale delle conoscenze.
Se, per esempio, si è calcolato per un additivo una DGA di 5 mg/kg di peso corporeo, si assume che una persona che pesa 70 kg possa ingerirne quotidianamente fino a 350 mg (= 5 mg x 70) senza rischi.

  • Se l’additivo risulta innocuo per le cavie anche a concentrazioni elevate, le autorità usano la formula DGA non specificata, il che sta a significare che non c’è limite alla sua assunzione. 
  • Se invece l’additivo risulta tossico per le cavie anche a basse concentrazioni o le prove non sono ancora sufficienti per valutarne la tossicità, la formula usata è DGA non assegnata. 
  •  Se, invece, la DGA viene assegnata, questa sarà tanto più bassa quanto più tossico è risultato l’additivo. 
 Fatta questa premessa, è facile capire che il valore della DGA è da considerare una buona indicazione del grado di tossicità di un additivo.  
Purtroppo per il consumatore, la DGA degli additivi aggiunti ai prodotti alimentari non viene indicata in etichetta.


Sono davvero necessari?

Molti additivi, se non tutti, non lo sono di certo. Anzi, ce ne sono alcuni, come quelli impiegati per conferire artificialmente agli alimenti qualità organolettiche (coloranti, esaltatori del gusto, edulcoranti), che non solo sono inutili, ma si possono configurare anche come uno strumento di sofisticazione… legalizzata. 

Infatti, tramite l’uso di questi additivi, unitamente a quello degli aromi, l’industria tenta di mascherare la cattiva qualità dei prodotti trasformati conferendo loro colori, sapori e odori. Queste tecniche non danno altro che imitazioni grossolane di qualcosa della materia prima che è andato perduto nella fase di produzione o che addirittura non c’è mai stato. 
Inoltre, la colorazione artificiale di molti prodotti voluttuari, come bevande e caramelle, ha il subdolo scopo di attrarre i consumatori più vulnerabili, tra cui i bambini, spingendoli all’acquisto di prodotti che non solo non hanno alcun valore nutritivo ma sono anche rischiosi per la salute a causa del loro carico di coloranti (nonché di zucchero). Dobbiamo tenere presente che, se la materia prima è di alta qualità, non c’è bisogno di additivi. Un esempio ci viene dal Parmigiano. Per l’impeccabile qualità del latte utilizzato nella sua produzione, questo formaggio non ha bisogno di nessun conservante, mentre invece altri formaggi stagionati possono aver bisogno di conservanti con attività antibiotica (E 234 e 235) e uno di essi, il provolone, può essere addizionato addirittura con E 239, un additivo con una DGA bassissima (0,15 mg/kg p.c.).

Il biologico usa davvero pochi additivi

Il regolamento per il biologico consente di utilizzare soltanto una cinquantina degli oltre 360 additivi utilizzati dall’industria alimentare convenzionale e limitatamente ad alcuni prodotti.

Nel biologico si fa molto apprezzare la disposizione che vieta di utilizzare i coloranti, sia naturali che artificiali, gli esaltatori del gusto e tutti gli additivi organici artificiali. Inoltre, quasi tutti gli additivi permessi sono da ritenere innocui perché hanno una DGA alta o non specificata (senza limiti).

Ho l’obbligo di sottolineare però che nel biologico è consentito aggiungere, anche se soltanto nei prodotti a base di carne e in quantità inferiori a quelle permesse nei prodotti convenzionali, due conservanti che destano qualche preoccupazione, il nitrito di sodio (E 250) e il nitrato di potassio (E 252). Comunque, sebbene questi additivi siano preziosi per la nostra salute perché impediscono lo sviluppo nei prodotti conservati del batterio responsabile del botulino, la legge che regolamenta il biologico prevede che entro il 2010 venga riconsiderato il loro impiego.

Il mio auspicio è che il biologico adotti processi di lavorazione che permettano di farne a meno. Ci sono già segnali positivi in questo senso dal momento che alcune aziende biologiche (ma anche alcune convenzionali) producono salumi senza conservanti. 

I prodotti biodinamici a marchio Demeter sono ancora più virtuosi perché il disciplinare di riferimento permette di utilizzare soltanto una decina di additivi, in un ristretto numero di prodotti, e vieta categoricamente l’impiego di nitrati e nitriti. Ovviamente, per poter ottenere un prodotto trasformato di pregio ricorrendo ad un numero così esiguo di additivi, la materia prima deve essere di elevata qualità.
A questo proposito ecco un consiglio per l’acquisto valido sia per i prodotti alimentari convenzionali che per quelli biologici: tra prodotti dello stesso genere scegliete sempre quello che ha il minor numero di additivi. In tale modo non solo ingerite un minor numero di sostanze potenzialmente nocive, ma vi assicurate con tutta probabilità anche il prodotto di più alta qualità.

tratto dal sito www.valorealimentare.it

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