mercoledì 3 agosto 2011

Sacchetti in plastica? Per gli italiani nessun rimpianto

Condividono le ragioni della loro eliminazione e si sono adeguati prontamente a sostituirli, soprattutto con borse riutilizzabili: così gli italiani a 6 mesi dalla norma che vieta la commercializzazione dei sacchetti di plastica. L'Europa, intanto, 'tira le orecchie' all'Italia, in ritardo nella notifica del provvedimento.

 

di Angela Lamboglia - 2 Agosto 2011

 

Dopo anni di spreco sfrenato - secondo dati WWF il nostro Paese copriva da solo il 25% del consumo complessivo europeo di buste in plastica - dal 1 gennaio 2011 gli italiani hanno visto lentamente uscire dalla propria quotidianità le vecchie buste non biodegradabili.
La messa al bando dei sacchetti è avvenuta tuttavia in maniera anomala, senza ricorrere ad un decreto del ministero, bensì con un comunicato stampa, giudicato dagli operatori del settore poco chiaro nella definizione delle tipologie di materiali di cui si vieta la commercializzazione, quanto delle eventuali sanzioni.
Oltre a lasciare nell'incertezza normativa i produttori, l'approssimazione che ha caratterizzato l'introduzione del divieto ha destato reazioni anche a livello comunitario. La Commissione europea ha infatti avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per la mancata notifica dell'entrata in vigore della norma, insieme ad un'inchiesta per verificare che la misura non entri in conflitto con il principio della libera circolazione delle merci.


L'attenzione della Commissione non indica necessariamente che l'Unione si dichiarerà contraria al divieto. L'obiezione alla scelta italiana, posta in particolare dalla Gran Bretagna, riguarda la legittimità di escludere completamente dal commercio una merce in sé non pericolosa, per la quale il rischio deriverebbe dall'abbandono nell'ambiente da parte del consumatore. Un'obiezione che, però, incontra il suo limite nel momento in cui, anche riutilizzate più volte e destinate alla raccolta differenziata, le buste devono infine essere smaltite.
“I sacchetti mono uso - spiega Eva Alessi, responsabile sostenibilità del WWF Italia - impiegano molti secoli per essere degradati rilasciando sostanze tossiche e bioaccumulabili nell'ambiente che contaminano acque e suoli ed entrano nelle reti alimentari del pianeta. Le alternative ci sono, pratiche e convenienti sia per l'ambiente che per il portafogli”.
Con le alternative disponibili gli italiani si confrontano già da sei mesi e, in base ad un'indagine condotta dall'Istituto per gli studi sulla pubblica opinione (Ispo) con la direzione di Renato Mannheimer e promossa da Assobioplastiche, l'83% del campione si dichiara contrario al ripristino dei vecchi sacchetti.
Dalla ricerca risulta che la conoscenza della norma è ampiamente diffusa tra gli intervistati (93%) e che il 90% di loro riconosce la necessità di garantire la tutela ambientale, anche a mezzo di interventi legislativi.
Meno decisa, ma comunque significativa, l'adesione al blocco della commercializzazione dei sacchetti. Sei su dieci la condividono, ma quel 40% contrario non è necessariamente, almeno a giudicare dal dato precedente, indisponibile a qualche sacrificio per ridurre l'inquinamento, ma piuttosto incerto sull'efficacia del provvedimento. Parte degli intervistati, ad esempio, non nutre fiducia nei sacchetti biodegrabili e individua nelle borse riutilizzabili l'unica strada veramente sostenibile.
Guardando ai dati sulle soluzioni adottate, in effetti, pur con un 54% di persone che usa con frequenza i sacchetti biodegradabili, si vede che la scelta degli italiani ricade principalmente sulle borse riutilizzabili: il 75% del campione preferisce la sportina in stoffa o il carrello, la risposta più antica e più sicura.


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