mercoledì 20 aprile 2011

Il nuovo oro nero si chiama shale gas

  


La recente scoperta di imponenti riserve di gas non convenzionale negli Usa ha creato nuove prospettive energetiche. Anche l'Europa è interessata, ma pesa l'incognita ambientale

La parola d'ordine della nuova corsa all'oro nero è shale, che significa "scisto": una roccia argillosa dalla struttura a lastre che imprigiona al suo interno petrolio o gas naturale.
Le proprietà energetiche dello shale sono note da decenni, ma il processo di estrazione era considerato economicamente non sostenibile in quanto fondato su una complessa tecnologia che utilizza grandi quantità di nitrogeno, acqua e additivi chimici iniettati fino a 4000 metri di profondità per creare la pressione necessaria a frantumare le rocce. Ma negli Stati Uniti dove, complice l'aumento del prezzo del gas e il mea culpa di Al Gore - condivisa da Obama - sui pericoli connessi alla produzione di etanolo dal mais, un gruppo di compagnie petrolifere indipendenti ha cercato di rendere economicamente sostenibile l'estrazione dello shale gas del Texas e grazie all'introduzione di un nuovo processo di fratturazione idraulica, hanno reso accessibili economicamente le enormi riserve degli Usa, equivalenti a circa 100 miliardi di barili di petrolio. 


 
Grazie a questo inaspettato sviluppo tecnologico, gli Stati Uniti hanno potuto ridurre le importazioni di gas dalla Russia e puntare sullo shale gas che raggiungerà il 50% della produzione totale interna già nel 2020. Tra le grandi compagnie, la prima a puntare sullo shale gas è stata l'americana Exxon Mobil che già nel 2007 aveva concluso accordi con quelle società indipendenti specializzate nella estrazione del nuovo prodotto.

Anche l'Europa sembra essere ricchissima di shale gas, con riserve equivalenti a 92 miliardi di barili di petrolio. Negli ultimi tre anni, le majors europee Shell, Bp, Total e Statoil, hanno cominciato ad esplorare le riserve di shale gas in Polonia, Germania e Svezia meridionale, che dovrebbero diventare attive nel 2020. Anche l'Eni sta investendo nel gas non convenzionale dentro e fuori gli Usa; in Canada, attraverso la Saipem, si è aggiudicata un contratto di un miliardo di dollari canadesi per l'estrazione di questo tipo di gas da "scisti" di sabbie bituminose. 



Sulla prospettiva di trasferire l'esperienza americana dello shale gas in Europa, grava la possibilità di uno stop legato alla verifica del rischio ambientale conseguente al processo di fratturazione delle rocce nonché all'acqua contaminata che potrebbe inquinare le faglie acquifere naturali.
Un rischio decisamente ridotto negli Usa grazie alla vasta estensione del territorio e alla ridotta densità abitativa rispetto all'Europa, dove è vigente una legislazione più severa in materia di tutela ambientale. In realtà, visto con gli occhi di oggi e con le possibilità offerte dallo shale gas, l'accordo con Gazprom - per costi e prospettive future delle riserve russe - non è più conveniente per l'Italia. (di benito li vigni)

pubblicato il 10 dicembre 2010 da http://delleconomia.it 

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