lunedì 11 luglio 2011

Siria, nella zona vietata “armati” solo di telecamere

di Andrea Bernardi  1 luglio 2011 

Un gruppo di giovani si spinge fino al confine con la Turchia e documenta la violenza del regime, i sequestri dei militari ai danni dei contadini. E riprende tutto per poi pubblicarlo su un canale di youtube
Ci sono i carri armati parcheggiati lungo il muro di cinta giallo di una casa sottratta ai legittimi proprietari. I soldati in mimetica che pattugliano avanti e indietro nei sentieri del bosco con i mitra a tracolla e i cecchini appostati sui tetti di quelle che, fino a due settimane fa, erano abitazioni di contadini. Le immagini tremano un po’, la qualità è scarsa, i cameraman improvvisati. Ma mostrano ciò che non dovrebbero: quello che accade al confine tra Turchia e Siria, zona vietata alla stampa e allo sguardo del mondo.

Ziyad Taher, 26 anni, fino a quattro mesi fa era uno studente di comunicazione. È uno delle migliaia di giovani che sono scesi in piazza per chiedere le dimissioni di Bashar Assad. “Ferito”, sottolinea guardando a terra ma fiero di tutto quello che ha fatto fino ad oggi, è riuscito a rimettersi e ha proseguito nella sua missione. Quella di informare. Ziyad sogna di fare il giornalista. Ma oggi si definisce “solo” un “attivista per i diritti umani” che racconta le violenze e gli abusi del potere nel suo Paese e “aiuta i media stranieri a capire la situazione che si vive in Siria”. Lo fa nel modo più chiaro, così che nessuno possa mettere in discussione quello che dice: mostra i video che ha caricato su youtube alla pagina “freedom4566”.

Oggi, seduto su un divano in una piccola casa di Guvecci, con il suo laptop sulle ginocchia, continua a mostrare la sua verità. “Quando la rivolta è esplosa – racconta – eravamo solo dimostranti. Ci siamo conosciuti sulla strada. Avevamo un computer, Facebook, ma soprattutto Youtube. Lo utilizzavamo per inviare ai media all’esterno i video della nostra situazione a Latakia”. Utilizzavamo videocamere vecchie, poi, grazie all’aiuto dei siriani all’estero vicini alla rivoluzione sono arrivate attrezzature più professionali. I video sono aumentati notevolmente, dai titoli in arabo sono arrivati anche in inglese. Il team si è allargato.

Ai quattro “dissidenti” si sono aggiunti centinaia di giovani. Nuovi team si sono formati in altre città e villaggi e tutti erano in connessione tra loro. Quello che succedeva all’interno della Siria era sempre più evidente agli occhi del mondo. “Spedivamo i video dagli internet caffè – dice – con tutti i rischi che si possono immaginare. Potevano vederci, il proprietario, apparentemente, era una persona normale ma nessuno poteva essere certo che non fosse una spia e non segnalasse agli agenti quello che succedeva”. Tutto sembrava andare per il verso giusto, almeno sul fronte della comunicazione.

Poi, due mesi fa, il regime, per correre ai ripari, ha iniziato ad oscurare i siti dove venivano postati i video. La Polizia ha iniziato ad arrestare studenti a Damasco, ad Aleppo e via fino alle città più piccole. “Molte persone – spiega Ziyad – si ritrovavano la Polizia a casa che li caricava sulle auto e li portava via. Anche vivere nei piccoli villaggi era diventato pericoloso”. E gli attivisti sono corsi ai ripari. Hanno iniziato ad utilizzare postazioni hotspot, dove difficilmente era possibile risalire al proprietario dell’upload e software come unblock me. Questo, racconta, “per evitare che il regime ci trovasse, vedesse chi e dove aveva postato i video. Il nostro team, che era composto da giovani tra i 18 e i 35 anni era il migliore a rompere i blocchi”.

Quando il regime ha disattivato le postazioni hotspot lavorare è diventato impossibile. Così, circa sei settimane fa, il gruppo di Ziyad è fuggito e ha trovato posto in una vecchia casa abbandonata vicino al confine con la Turchia. “Ancora non c’erano profughi”, racconta Ziyad “e con le connessioni 3G turche, che ci eravamo procurati grazie ad amici sull’altro lato del confine trasmettevamo i video che andavamo a filmare nei villaggi limitrofi”.

Poi, il 23 giugno, quando i soldati siriani sono arrivati con i carri armati al confine e la gente ha iniziato a fuggire dalla Siria, Ziyad e il suo team hanno attraversato il cordone di filo spinato e sono saliti sulla collina di fronte, nel piccolo paesino turco di Guvecci. “Alcuni hanno deciso di rifugiarsi nei campi profughi allestiti dal governo turco”, racconta sconsolato “e abbiamo perso i contatti. Io e altri 4 amici siamo venuti qui”. Il perché è semplice: “se fossimo entrati nei campi non avremmo potuto proseguire la nostra attività”.

Oggi, nel sottotetto della casa di Guvecci, i ragazzi hanno la loro postazione. Ma soprattutto i loro “postini”. L’esercito turco, soprattutto di questi tempi, chiude un occhio quando vede bambini attraversare illegalmente il confine con la Siria e arrampicarsi su per la fitta boscaglia. Sono loro che, con le videocamere che il team di Ziyad ha messo a disposizione, vanno nei villaggi e filmano le postazioni dell’esercito, dei cecchini appostati sui tetti, le violenze durante le proteste. Tornano e consegnano il materiale. Qualcuno torna a Guvecci con i video girati da persone che, nonostante tutto, non hanno lasciato le loro abitazioni e continuano a protestare. I ragazzi del team “freedom4566” caricano su Youtube.

Mentre con la sua piccola videocamera punta la casa sul lato opposto della collina per vedere se i cecchini sono ancora appostati, Ziyad dice sorridendo: “Ho imparato più di videocamere e computer negli ultimi quattro mesi che in tutta la mia vita”. Intanto, gli amici, cercano di contattare gli studenti di Aleppo che stanno organizzando una grande
protesta contro Assad e il suo regime. Ma come arrivare ad Aleppo per fare i video non è ancora chiaro. 
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